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Sergio Camporesi
Le Opere
“Il Caffè”
Dipinti di Sergio Camporesi


Qualcuno mi chiede perché quegli interni, perché quelle cameriere, perché i gatti, perché la caffettiera…, io non ho spiegazioni… ognuno ha il suo teatrino e recita la sua parte, meglio che può…”. Queste parole di Sergio Camporesi, scritte nel 1989, dichiarano, meglio di qualsiasi proposta interpretativa, le motivazioni del suo impegno pittorico. Dice Ernest Gombrich, riferendosi al linguaggio dell’arte: “Tra le mani di un grande maestro l’immagine diviene trasparente. Insegnandoci a vedere con occhi nuovi il mondo visibile, egli ci dà l’illusione di guardare nei regni invisibili dello spirito…”. Con questi “occhi nuovi” va, dunque, letta l’opera di Camporesi. Nella storia di ogni singolo c’è un filo conduttore, un elemento base che ricorre come una costante nei suoi dipinti e, ripetendosi in varie modulazioni, rivela le ragioni dell’operare. Camporesi privilegia gli “interni” entro cui si consuma il problema esistenziale dei personaggi, problema che ci viene trasmesso (con un itinerario lungamente elaborato) anche dagli oggetti che appartengono all’ambiente.

Le preferenze dell’artista sono nate dalla suggestione di episodi della vita quotidiana, non necessariamente visti, ma anche solo suggeriti dall’immaginazione; l’elaborazione pittorica viene in un secondo momento, sviluppatasi grazie all’abilità dell’artista nel tradurre sulla tela le sue intuizioni. Il tema di questa mostra è l’interno di un bar o di una stanza in cui sono presenti, come filo conduttore, tazzine, caffettiere, ecc. che, nella straordinaria ed inusuale “architettura” del quadro, sono appoggiate con noncuranza su un tavolo o trattenute fra le mani in attesa di gustarne il contenuto. Offrire un caffè e assaporarne l’aroma al bar, con gli amici, può essere l’occasione di conversare piacevolmente, di rasserenare tensioni o di fare una pausa fra gli impegni. Secondo questa prospettiva il rito del caffè si pone in prevalenza come elemento positivo che non elimina tuttavia quella sottile vena ironica, però non priva di calda umanità, che sempre accompagna i dipinti di Camporesi.

“Posso offrirti un caffè?”. Per Camporesi quello del caffè era un momento magico perché significava tante cose: un modo per rilassarsi, per rinsaldare o concludere un’amicizia, per carpire dal fatto quotidiano analogie simboliche e culturali. Anche una tazzina vuota può essere veicolo di numerosi messaggi: suggerire stati di malinconia, di solitudine o, al contrario, di attesa per qualcosa che sta per iniziare.

Negli “interni” di Camporesi assai importanti sono i primi piani dove i personaggi vengono consegnati al visitatore in modo sintetico, audacemente abbreviati (es. solo i piedi o le mani, le gambe, un profilo, un volto, ecc.). In altre parole l’autore dirige il suo “teatrino” con figure a mezzo busto, sedute o erette, a volte riflesse in uno specchio o riprodotte in un quadro. In tutte s’avverte l’incanto di una luce che filtra all’interno: in quell’atmosfera il pittore vive il suo universo artistico in una stagione “senza tempo”.

L’ordito del dipinto, formato da una complessità di momenti, raggiunge una tessitura di timbri e di toni in cui s’incastonano tensioni splendidamente trattenute da una mente troppo accorta e raffinata per cadere nel tranello di una drammaticità eccessiva o di un’ambiguità senza fondo e senza speranza.

Per quanto riguarda la materia cromatica par quasi che l’autore si sia introdotto tra le molecole, tanto essa è calibrata e portata alla massima intensità. Lo stesso artista ha lasciato testimonianze sui referti estetici della sua produzione. Le “frequentazioni” (così le chiamava Camporesi) erano emozioni provocati dalle opere di Maccari, Longanesi, Scipione, Mafai, Cézanne, Bonnard e dell’amico Cremonini. Il linguaggio dell’artista forlivese è frutto di grande perizia nelle articolazioni dei contrasti cromatici, resi più intriganti dalla luce che si compiace di mettere in evidenza alcuni particolari, talora usati, diceva Camporesi, come “pretesti per sfogare il piacere visivo di un certo tessuto pittorico…” L’atmosfera “quotidiana”, a volte straniante, è flessibile a lasciar dissolvere i silenzi, le attese, i momenti oscuri, in una ritrovata luminosità, preziosa, intensa, raffinata.

Ogni tela, in conclusione, è come una pagina su cui è annotata una specie di avventura dell’anima con le sue serenità e le sue intemperanze, le sue contraddizioni e le successive pacificazioni. Una realtà a volte spiacevole, altre volte seducente, senza echi di retorica né cedimenti, ma espressa attraverso una “scrittura” precisa e coinvolgente.
Per chi sa vedere, per chi sa sentire (Rosanna Ricci)

Presentazione alla mostra “Il caffè” presso il Liceo Scientifico Fulcieri Paulucci De Calboli di Forlì, 8 ottobre 1998